Tanti, troppi carnet de voyage in questo mondo. Tanti, troppi viaggi; l'etere è ormai saturo di narrazioni sull'esplorazione degli anni duemila, sulla 'scoperta' di nuovi mondi, sulla sfida, l'incontro, lo scontro, l'Avventura.
Si, vabbè. L'Avventura. Pare che si debba fare quasi a gara a chi l'ha fatta più grossa. Più incredibile. A chi ha incontrato più Gente Figa. A chi ha tirato fuori il concept più assurdo, 'ho viaggiato tre anni senza soldi in monopattino, è possibile!', a chi ha fatto il blog più interessante, a chi ha fatto il video più mozzafiato, a chi ha fatto più viewers e followers e chi più ne ha più ne metta.
Io ho viaggiato e mi sono persa. E ho perso la mia identità, le mie radici, non mi ricordavo più come si cucina la pasta e come si fa un caffè, mi sono spogliata del mio accento per mimetizzarmi e parlo un italiano ibrido, brutto. Uso espressioni facciali diverse quando parlo in lingue diverse. Uso cervelli, atteggiamenti diversi a seconda della lingua e della cultura alla quale attingo. Una, nessuna e centomila. Non è tutta sta gran pacchia tutto sommato. E improvvisamente mi rendo conto che, se c'è un paese che non conosco, un enigma affascinante, terrificante, tumultuoso, doloroso, bellissimo, quello è il luogo da cui sono partita per viaggiare, tanti anni fa.
E allora cominciamo questo Carnet du Retour. Il Diario del Ritorno.
Si, anche questo è un concept forse. Vorrei essere più originale degli altri e zac, fregarli, andare controcorrente; ma, in realtà, forse è anche un tentativo di creare una contro-narrazione a questa massificazione e idolatria del Viaggio come bene di consumo, come status symbol dal quale non si può più prescindere se si vuole essere accettati in società - tu dove sei stato che hai visto quanto lontano sei andato - al quale ci si può ormai avvicinare tramite una compagnia specializzata, incaricata di 'farti provare emozioni forti' ma controllate, al quale ci si può approcciare senza farsi due o tre domande, chiedersi perché si sta viaggiando, cosa ci spinge ad andare a cercare altrove, a 'scoprire come sono fatti quelli o quelle', questo gusto del collezionismo del Tutto occidentale, giusto per aggiungere un altro paese alla lista, e dire 'questo l'ho fatto, lì ci sono stata'.
Il Ritorno fa male, invece. Non si capisce molto. La gente, la nostra, quella che in teoria ci conosce da quando siamo nati, non ci capisce molto nemmeno lei. Si è stranieri, ma a casa... Casa? ho detto casa. Mah. Chissà.
Si, vabbè. L'Avventura. Pare che si debba fare quasi a gara a chi l'ha fatta più grossa. Più incredibile. A chi ha incontrato più Gente Figa. A chi ha tirato fuori il concept più assurdo, 'ho viaggiato tre anni senza soldi in monopattino, è possibile!', a chi ha fatto il blog più interessante, a chi ha fatto il video più mozzafiato, a chi ha fatto più viewers e followers e chi più ne ha più ne metta.
Io ho viaggiato e mi sono persa. E ho perso la mia identità, le mie radici, non mi ricordavo più come si cucina la pasta e come si fa un caffè, mi sono spogliata del mio accento per mimetizzarmi e parlo un italiano ibrido, brutto. Uso espressioni facciali diverse quando parlo in lingue diverse. Uso cervelli, atteggiamenti diversi a seconda della lingua e della cultura alla quale attingo. Una, nessuna e centomila. Non è tutta sta gran pacchia tutto sommato. E improvvisamente mi rendo conto che, se c'è un paese che non conosco, un enigma affascinante, terrificante, tumultuoso, doloroso, bellissimo, quello è il luogo da cui sono partita per viaggiare, tanti anni fa.
E allora cominciamo questo Carnet du Retour. Il Diario del Ritorno.
Si, anche questo è un concept forse. Vorrei essere più originale degli altri e zac, fregarli, andare controcorrente; ma, in realtà, forse è anche un tentativo di creare una contro-narrazione a questa massificazione e idolatria del Viaggio come bene di consumo, come status symbol dal quale non si può più prescindere se si vuole essere accettati in società - tu dove sei stato che hai visto quanto lontano sei andato - al quale ci si può ormai avvicinare tramite una compagnia specializzata, incaricata di 'farti provare emozioni forti' ma controllate, al quale ci si può approcciare senza farsi due o tre domande, chiedersi perché si sta viaggiando, cosa ci spinge ad andare a cercare altrove, a 'scoprire come sono fatti quelli o quelle', questo gusto del collezionismo del Tutto occidentale, giusto per aggiungere un altro paese alla lista, e dire 'questo l'ho fatto, lì ci sono stata'.
Il Ritorno fa male, invece. Non si capisce molto. La gente, la nostra, quella che in teoria ci conosce da quando siamo nati, non ci capisce molto nemmeno lei. Si è stranieri, ma a casa... Casa? ho detto casa. Mah. Chissà.